Il Materasso

Il Materasso

Storie da cinico
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Il Materasso
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di Nicola Cirillo, interpretato da Sergio Guadagno

4:37

Si svegliò intorpidito con tutte le giunture bloccate, gli arti formicolanti e i muscoli indolenziti. Doveva essere stato un brutto incidente. Le prime immagini però non erano le bianche pareti di un ospedale, ma il rosa pallido che sua moglie lo aveva costretto a scegliere per la stanza da letto, intuito più che visto nella penombra diffusa che anticipa l’alba.

La mente si stava schiarendo, e quando gli riuscì di decifrare il pallido 4:38 proiettato sul soffitto dalla radiosveglia, cominciò a capire cosa gli fosse successo.

Non c’era stato nessun incidente, se non si considera tale il fatto di aver sposato la donna che dormiva beatamente al suo fianco. Era solo il materasso. Sì, il materasso su cui aveva dormito nelle ultime otto settimane era la sua tortura.

In una delle sue sempre più frequenti crisi di acquisti ossessivo-compulsivi, sua moglie l’aveva trascinato in un negozio che vendeva tutto per il letto. Dolce dormire si chiamava, e c’era anche da crederci finché non si vedeva il listino prezzi.

«Non possiamo dormire ancora su quel coso» gli aveva detto del vecchio materasso, che secondo lui era in ottimo stato e perfettamente comodo, «mi alzo ogni mattina col mal di schiena, lo sai, ho le protusioni, l’allergia, e poi è scomodo e…» e via così, continuava la principessa sul pisello.

Al Dolce dormire incontrarono Ruggiero, un omino tarchiato di mezza età che dal fondo del negozio sembrava un tipo mite e remissivo. Avvicinandolo però, si veniva travolti dal suo sguardo: un’espressione maligna e affascinante, a metà tra Vincent Price e il Mefisto di Tex Willer. Non si poteva fissarlo a lungo, ma era difficile staccare gli occhi da quel viso.

Lei sorrideva felice come tutte le volte che si proponeva di prosciugare il loro conto in banca, lui era terrorizzato dalla prospettiva di farsi rapinare da quell’ometto dallo sguardo ipnotico.

«Buonasera signori, accomodatevi prego» disse con fare cortese, ma con lo sguardo di un rapace che avvista una succulenta preda.

Cominciò a magnificare i materassi che vendeva e in particolare alcuni pregiati modelli in puro lattice. Lei era estasiata e rapita. Lui non poteva liberarsi dalla sensazione che Ruggiero stesse pilotando le loro opzioni verso le scorte di magazzino, avanzi della precedente stagione, offrendole a prezzi a suo dire stracciati.

Scelto che ebbero il materasso, naturalmente il più caro che c’era, Ruggiero cominciò a chiedere su che rete dovesse essere posato cotanto gioiello. Alla risposta “una rete a molle ortopedica” sussurrata da sua moglie con la paura di sbagliare, assunse un’espressione affranta, quasi sofferente, nemmeno avessero detto “sulla ghiaia di una cava abbandonata”.

«Non è possibile, mi dispiace, per un materasso così è necessaria una rete a doghe strette in faggio evaporato bosniaco. Così mi vedo costretto a non vendervi il materasso… oppure…» .

Naturalmente in magazzino aveva per caso l’affare giusto per loro, una rete ordinata e mai ritirata modello extra lusso che costava uno sproposito ma che poteva cedere a metà prezzo.

Poi si passò all’articolo da letto più rilevante: il guanciale.

«È qui che mettete la vostra testa, la parte più importante del vostro corpo. Deve essere perfetto!». Mostrò loro una coppia di guanciali in schiuma memorex, che accoglieva ciò che vi si appoggiava conservandone la forma e sostenendola senza forzature.

«Questi li produciamo noi, qui in laboratorio. Guardate» disse premendovi entrambe le mani a dita aperte e togliendole quasi subito. La forma delle mani restò per parecchi secondi sul cuscino, come un calco sulla Walk of Fame di Hollywood.

Lui restò meravigliato del notevole peso del guanciale. «Ci si potrebbe ammazzare qualcuno a cuscinate» disse per scherzo, ma rabbrividì guardando Ruggero che sembrava compiaciuto come se avesse ricevuto un complimento.

Era ovvio che il copri-rete, il copri-materasso e le federe, come anche la parure di lenzuola, dovevano essere in tessuto speciale anallergico; «la signora soffre di allergia, sa com’è…». Naturalmente tutti questi piccoli accessori avevano un modico costo, superato di gran lunga dal beneficio.

Infine, mentre il suo sorriso continuava ad allargarsi e a farsi più sinistro, gli riuscì di infilare nel conto anche un piumino che riportava una orribile stampa de i girasoli di Van Gogh, che costava quasi quanto valeva il quadro originale, ma naturalmente veniva offerto con un super sconto.

Quando accettarono anche quell’obbrobrio, l’arcata sopracciliare di Ruggiero prese la forma delle ali di un  gabbiano, e i peli ispidi e setosi divennero irti come aculei di un riccio.

A quel punto lui non poté più sopportare quello sguardo e lasciò in fretta il negozio con la moglie, chiedendo la consegna a domicilio di tutto, non senza aver strisciato la sua carta di credito nell’infernale macchinetta. Nessuna paura per la sicurezza della transazione: la truffa era già stata perpetrata.

4:41

Ormai sapeva che non sarebbe più riuscito ad addormentarsi e così cominciò a preparare la raddrizzata, cercando di non svegliare la moglie per non sentirsi ripetere per l’ennesima volta «ancora non ti sei abituato?», a mo’ di rimprovero per non aver saputo ancora venire a patti con quell’arnese, che lei invece sembrava non soffrire affatto. Negli ultimi giorni si era acuita la sua normale irritazione per il fatto che lei dormisse beata, spesso russando sonoramente, mentre lui soffriva le pene dell’inferno rigirandosi di continuo.

Aveva letto da qualche parte che la privazione del sonno era uno strumento di tortura per prigionieri di guerra. Ricordava di aver pensato che come tortura non era poi così terribile. Ma lo stress accumulato per ripetute interruzioni del sonno, come sottolineava anche l’articolo, aumentava il dolore, acuiva la tensione nervosa, accresceva l’insoddisfazione di sé e la possibilità di atteggiamenti degenerati. Da otto settimane a quella parte cominciava ad essere d’accordo.

4:53

Cercò di ricordare dove lo avesse letto mentre, tra mille fitte di dolore, si mise a sedere sul letto. Lei smise di russare e mormorò qualcosa che assomigliava a «mmhhh… …cora mmhh… …bituato … ?…». Ma crollò subito dopo e riprese a russare.

Aveva bisogno di una doccia. Il sudore dovuto ai movimenti notturni gli aveva attaccato addosso il leggero pigiama estivo. Si alzò e andò verso il bagno. La luce scoppiò improvvisa lanciando dolorose fitte nei suoi occhi, abituati all’oscurità del resto della casa. Quelle maledette lampade al neon. Lui preferiva la luce calda, ma, come sempre, era stata lei a scegliere.

«Quando devo truccarmi non voglio una luce gialla, falsata. E poi il bagno sembra sporco con quelle luci…»

Spense subito ma ormai non vedeva più nulla.

5:08

Riuscì a schiarirsi le idee con un po’ di acqua fredda, e alzò gli occhi verso lo specchio.

Il cuore perse un colpo. Si impose di stare calmo, era un tipo razionale. Non si mosse, ma probabilmente non ci sarebbe riuscito se avesse voluto. Nello specchio vedeva Ruggiero.

Erano già due settimane che aveva delle allucinazioni. Sapeva che erano allucinazioni, non poteva essere altrimenti. L’articolo non parlava di allucinazioni, ma certo lo stress poteva provocarle.

I contorni del suo viso si fecero pian piano più familiari mentre continuava a fissarsi. Restavano solo quelle ispide ali di gabbiano, folte come non mai, a conferirgli un’espressione malvagia, che si intonava più al suo umore che al suo carattere.

Cominciò a pensare che era tutta colpa del materasso, e quindi di chi aveva deciso di comprarlo. Di chi aveva scelto il rosa pallido, le lampade al neon, i tappeti e tutti i fottuti dettagli della loro casa, della loro vita. Di recente la rabbia montava così, d’improvviso.

In sottofondo come musica in filodiffusione, restava sempre la paura. Paura degli angoli in penombra, delle superfici lucide, degli specchi in cui vedeva le ali di gabbiano. Paura inspiegabile, come di un’entità indefinita. Forse paura di se stesso.

Ma non aveva più paura adesso. Adesso era solo incazzato.

5:22

Entrò nella stanza da letto cercando di controllarsi. Forse se l’avesse trovata sveglia le cose sarebbero andate diversamente. Lei invece dormiva beata e nella schiuma memorex del cuscino era impresso il suo profilo. L’altro guanciale ormai freddo aveva ripreso la sua forma naturale.

Si avvicinò al letto per guardarla dormire, e d’improvviso lei si svegliò. Appena lo vide urlò spaventata. Non lo aveva riconosciuto con quell’espressione maligna sul viso. «Sei uno stronzo, mi hai spaventata! Quante volte ti ho detto di non fare certi scherzi. Quando fai quella faccia mi fai paura.»

Lui salì sul letto senza rispondere, mentre lei con uno sguardo all’orologio disse «ancora una notte insonne? Insomma si può sapere perché non vuoi proprio abituarti a questo materasso? Hai svegliato anche me a quest’ora tutto per…»

Lui la guardava parlare ma la sua voce si faceva sempre più distante, come se si stesse allontanando. C’era altro rumore a coprirla, un rumore sordo, ritmico. La stanza cominciò a contornarsi di una fascia vistosamente colorata. Da ragazzo a una festa gli avevano fatto provare un fungo allucinogeno. Quella vista gli ricordava ciò che aveva provato allora.

Non gli riusciva di dirle di tacere. Voleva che stesse zitta un attimo per permettergli di controllarsi, ma lei continuava a parlare e gesticolare infervorandosi. Si alzò addirittura a sedere. Gli arrivava qualche frammento in sottofondo «…mai contento… devo anche… tutto io…».

Ora la stanza sembrava girare lentamente. Lui voleva scendere dal letto ma qualcosa glielo impediva. Le sue mani erano bloccate, fuse nella schiuma memorex del suo cuscino, su cui senza accorgersene le aveva appoggiate. Provò a staccarle ma il pesante cuscino si alzò insieme a loro. Non riusciva a parlare, a dirle di stare zitta. La spinse giù con le mani imprigionate e finalmente tacque. Il cuscino le premeva sulla faccia lasciando fuori solo gli occhi sgranati dalla paura.

Lentamente l’immagine sembrò tornare alla normalità. Più forte premeva e più l’allucinazione sbiadiva. Continuò a premere.

5:43

L’allucinazione era svanita e poteva vedere chiaramente il rosa pallido della parete, sulla quale le cifre dell’orologio a proiezione sbiadivano nella luce dell’alba. Le mani erano ancora premute sul cuscino, ma erano libere di staccarsene. Era stremato dallo sforzo. Lei aveva gli occhi aperti ma non si muoveva e, soprattutto, non parlava. Si accasciò al suo fianco e si addormentò di colpo.

7:59

La sveglia squittì. Aprì gli occhi e come una valanga lo avvolse la consapevolezza di quello che aveva fatto. Si scoprì addolorato e impaurito; non capiva come durante la notte gli fosse apparso tutto così ragionevole, razionale. Gli era parso naturale, nel parossismo della rabbia, eliminare il fastidioso rumore della moglie che parlava gesticolando.

E adesso…

Si girò dal lato del letto dove dormiva la moglie.

Lei non c’era. Non era nemmeno nella stanza.

Si alzò e andò alla porta del bagno. Lei era allo specchio e si truccava alla luce del neon. Gli dava le spalle.

«Ciao tesoro, Dormito bene?» disse sentendolo arrivare. Poi, senza attendere risposta continuò «Sì? Allora ti stai abituando!» si voltò e lo guardò intensamente: le sue sopracciglia erano folte, ispide e setose, e sembravano ali di gabbiano.

Nicola Cirillo

per CinicoWeb si occupa di scrittura creativa, copywriting, regia, produzione e postproduzione audio e video, grafica, marketing e ogni altra cosa serva. In pratica sa fare tutto ma niente bene.

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