Blues e sangue: Daniele e Clapton in concerto.
Il 24 giugno prossimo lo stadio Simonetta Lamberti di Cava de’ Tirreni, già cornice di grandi eventi musicali, ospiterà l’atteso concerto di Pino Daniele ed Eric Clapton, in quest’ordine sulle locandine.
Sul programma dello spettacolo si sa ancora poco. Sembra che i due musicisti suoneranno insieme alcuni dei loro maggiori successi, ma si sospetta che ci saranno omaggi a pietre miliari della musica nera americana come B.B. King, Robert Johnson e Muddy Waters, com’è lecito aspettarsi da due bluesmen che si incontrano.
Bluesmen atipici, però. Perché entrambi bianchi e non neri secondo tradizione e perché entrambi non americani. Anche se sembra che le note comuni finiscano qui, volendo escludere le opinioni di quei recensori crudeli che ritengono entrambi detentori di un passato da grandi musicisti appassionati e di un presente quanto meno discutibile.
Clapton slowhand, con il suo bagaglio di riconoscimenti da Chuck Berry, che lo definì “l’uomo del blues”, a B.B. King con cui ha inciso un album, passando per i grammy vinti e il 4° posto che “Rolling Stone” gli assegna tra i migliori chitarristi di tutti i tempi, ma che, dopo il deludente “Back home” del 2005 e i seguenti lavori non all’altezza dei suoi grandi meriti, oggi appare a molti un’opaca replica di quel genio che il suo nome ricorda.
Pino Daniele, il bassista dei “Napoli centrale” che aveva già nel cassetto “Napul’è” quando ancora non aveva il suo diploma di ragioniere, l’autore di “Terra mia” e “Lazzari felici”, il motore del “neapolitan power” che contemporaneamente musicava i film di Massimo Troisi, l’”uomo in blues” italiano, non sembra lo stesso che fa uscire nel 1987 “Bonne soirèe”, definito un album di rottura tanto da chi lo ha apprezzato quanto da chi ha restituito al termine “rottura” la sua accezione più popolare. Né sembra tornare lo stesso in seguito, anzi c’è chi pensa che la sua produzione successiva accrediti la fantasiosa e surreale ipotesi di una sua sostituzione con un sosia.
Clapton, molto tempo dopo aver dichiarato che ne apprezzava il lavoro, incontra Pino Daniele per la prima volta al Crossorads guitar festival svoltosi a Chicago il 26 giugno 2010, dove lui stesso lo invita a suonare in un consesso di mostri sacri. La sua prestazione ottiene dai più un riscontro tiepido. Molte sono le voci che addirittura si elevano a censurare quella partecipazione nella quale Daniele, invece di suonare con orgoglio il suo “blùs” napoletano, quello senza la “e”, quello di “Puozze passà nu guaio” o di “Toledo”, sembra restare a guardare mentre divide 250 secondi di palco con un Joe Bonamassa in gran forma. Come se Sergio Bruni avesse invitato alla più importante rassegna di musica napoletana un popolare interprete finlandese e lui, invece di proporre la sua musica con le eventuali influenze partenopee, avesse offerto una grottesca parodia di “’O sole mio”, “Fenesta vascia” o “Carmela” in un improbabile napoletano.
La domanda che molti si pongono è dunque quale significato abbia questo concerto di coppia, questo evento musicale che sembrerebbe più una somma aritmetica dell’opera di due artisti in declino che un momento di collaborazione e crescita tra due inoppugnabili talenti. Qualcosa di più simile a operazioni combinate a tavolino dai discografici che non a una reciproca ammirazione fra artisti intenzionati a dividere un palco per unire il pubblico in un’esperienza nuova.
Che c’è dietro dunque? I cinici malpensanti che, privati di un movente artistico, vogliono vederci soltanto un’operazione commerciale, non si fanno intimidire minimamente dagli scopi benefici del concerto, pur di assoluto rispetto, adducendo che da qui certo verrà un rilancio di Pino Daniele sulla scena musicale, un incremento della popolarità di Clapton, se mai ne avesse bisogno e, assai probabilmente, un disco e un DVD live e altro vario merchandising.
Ma anche se “la maldicenza insiste” e “batte la lingua sul tamburo”, anche se è più facile criticare che ascoltare senza pregiudizio, dovremmo forse aspettare il 24 giugno e sperare che, per miracolo, il sangue fin qui amaro ci si “squagli dint ‘e vene”.